Rubrica: Attualità di CLAUDIA RINALDI.

In Ottobre, l’estate è ormai finita ed è tempo di cambiare dieta inserendo prodotti autunnali come castagne, cachi, mele, pere, zucche. Tra i frutti dimenticati, molto amati dai nostri nonni, ce n’è uno così delizioso da originare la massima espressione di felicità “andare in brodo di giuggiole”. La giuggiola è il frutto prodotto dalla pianta del giuggiolo, un piccolo arbusto di provenienza asiatica, che nel corso dei secoli si è diffuso nei paesi mediterranei e in Italia. Già negli scritti di Erodoto troviamo la giuggiola come uno dei quattro “frutti pettorali”, il cui decotto veniva usato per curare le malattie da raffreddamento fin dall’epoca egizia. I Romani ne facevano un vino dolce e inebriante e per i Gonzaga era un rosolio immancabile durante i loro ricevimenti. Le giuggiole si possono consumare fresche con il loro sapore dolce leggermente acidulo, che ricorda quello della mela, oppure si possono conservare per lungo tempo essiccandole o mettendole sotto spirito; si prestano inoltre per preparare confetture e sciroppi, o come ingrediente per farcire dolci secchi e biscotti. Arquà Petrarca, piccolo borgo medioevale sui colli euganei, ha fatto della giuggiola il fiore all’occhiello della produzione agricola, ne esiste anche una celebrazione, le prime due domeniche del mese di ottobre, chiamata la “Festa delle Giuggiole” che, causa proroga dello stato di emergenza sanitaria al 31.12.2021, quest’anno non verrà organizzata.

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