Oggi il mestiere del pastore nelle nostre zone è praticamente scomparso e l’allevamento delle pecore avviene sempre meno allo stato naturale, ossia cibandole di quanto la natura offre, ma sempre più negli allevamenti con mangimi industriali.
Una volta tanti vivevano di pastorizia e, in primavera ed autunno, grandi greggi di pecore attraverso percorsi centenari (tratturi) raggiungevano i pascoli della montagna o facevano ritorno alla pianura.
Il pastore viveva con il suo gregge che doveva tutelare in tutti i suoi aspetti aiutato dai cani da pastore, che lui stesso aveva allevato per questo scopo. In qualsiasi momento e con ogni tempo atmosferico doveva essere presente, quasi sempre all’aperto, incurante del solleone, della pioggia e della neve. Quella del pastore era una vita solitaria, a stretto contatto con la natura, con le sue bellezze, ma anche con le sue difficoltà.
Tanti erano i suoi compiti: oltre a far mangiare, curare e difendere i suoi animali doveva tosarli, assistere ai parti, mungerli e produrre, col loro latte, il formaggio. Spesso, in cambio di questa vita durissima, aveva poche soddisfazioni economiche e, se non possedeva un gregge suo ma lavorava per altri, riceveva un magro salario.
Dipinto di Giorgio Rinaldi
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