Il mese di Marzo segna, in genere, la fine dell’inverno non solo perché il 21 del mese inizia la primavera, ma anche perché le temperature si alzano, la neve residua si scioglie e la terra si risveglia. Il primo marzo, una volta, nelle campagne, sulle aie, nelle piazze e nelle spiagge si accendevano tanti falò propiziatori per gli esseri umani, gli animali e i raccolti. Questa tradizione che si chiamava “Fēr lóm a mērz”, fare luce a marzo, persiste tuttora in alcune zone della Romagna, ma ormai soprattutto per scopi turistici. Iniziavano in questo mese le potature soprattutto della vite, non appena la neve lo consentiva. I contadini poi vendevano ai caseifici gli stecchi e i residui della potatura per accendere i fuochi sotto le caldaie, durante la produzione del formaggio. Marzo però, con la sua alternanza di sole e pioggia, di vento e talvolta di gelate, era ritenuto un mese poco affidabile; si diceva infatti: Al żēl marzulèin l-arvîna al cuntadèin, il gelo di marzo rovina il contadino.

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