Rubrica: Attualità di CLAUDIA RINALDI.

Già dal 2012 la domanda di registrare come Igp la piadina romagnola da parte del Consorzio Piadina Romagnola aveva sollevato numerose critiche, non solo da parte delle imprese esterne al perimetro romagnolo ma anche dalle organizzazioni che rappresentano i produttori artigianali: l’Igp, infatti, se da una parte offre una tutela territoriale, dall’altra equipara le piadine dei chioschi a quelle industriali e cominciavano a fioccare le multe agli ambulanti che esponevano il cartello “piadina romagnola”. Anche Slow Food e Confesercenti si erano espressi contro l’IGP. Vi era poi stata una serie di corsi e ricorsi tra Tar e Consiglio di Stato mossi da un’azienda che produce piadina in uno stabilimento che non è in Romagna ma in Emilia (a Modena). Alla fine della storia, nel 2018 la Corte di Giustizia europea a Lussemburgo ha espresso la sua ultima parola sulla questione: la piadina romagnola industriale o artigianale che sia, va prodotta nell’area IGP romagnola per potersi fregiare di questo titolo. Risolta la diatriba tra emiliani e romagnoli, si affaccia sulla scena un grande gruppo alimentare spagnolo che tenta di registrare in Inghilterra vari prodotti da forno sotto il nome di Piadine di Modena. Anche questa volta il Consorzio della Piadina romagnola ha ottenuto un contenzioso risolto a suo favore (e la cosa non era scontata vista la Brexit) sventando il tentativo di contraffazione del Made in Italy. Non c’è pace per la piadina romagnola, che tutti vorrebbero copiare e imitare ma a prescindere dalle modalità artigianali o industriali di realizzazione e dalle diatribe industriali, resta nella reputazione di tutti un prodotto trasmesso di generazione in generazione dalle rezdore romagnole.

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