Fin dai tempi più antichi, i temporali e specialmente i fulmini hanno sempre destato preoccupazione, tanto che i Romani celebravano, proprio il 20 giugno, il dio etrusco-romano Summanus, affinché li preservasse da simili calamità. Si narra poi il curioso avvenimento che un fulmine abbia colpito la sua statua, staccandole addirittura la testa. Il timore della perdita dei raccolti, unito alla richiesta di protezione divina, è rimasto nella cultura agreste e, in una rima di Luigi Francesco Valdrighi, è stato interpretato dalla seguente preghiera:
Fà, al mê Dio, che la timpèsta
ch’la ruîna ind un mumèint
frûta, urtàia, óva e furmèint,
dentr-el nóvel la s’in rèsta.
Trad.: Fai, mio Dio, che la tempesta, / che rovina in un momento/ frutta, ortaggi, uva e frumento, dentro alle nuvole rimanga.
(Da S. Prati – G. Rinaldi, Il ciclo dei mesi nella Civiltà contadina. Pendragon, BO, 2016).