Rubrica: Attualità di Claudia Rinaldi. Tutto nasce dal termine marmellata che deriva dal portoghese “marmelada” e stava a indicare una preparazione a base di marmelo, ovvero di mela cotogna. In passato, questo era uno dei pochi frutti che veniva utilizzato per la produzione di marmellate. Solo con il passare degli anni, attraverso una direttiva europea del 1979, recepita dall’ordinamento italiano nel 1982, viene ufficialmente chiarita la definizione e la distinzione tra marmellata e confettura.

A livello legislativo, per marmellata si intende un prodotto realizzato con zucchero e agrumi (limone, mandarino, arancia, cedro, bergamotto, pompelmo) in cui la percentuale di frutta sia almeno del 20%. Le parti utilizzabili degli agrumi sono la polpa, la purea, il succo, gli estratti acquosi e anche la scorza che conferisce particolari note di sapore. Il fatto di identificare come marmellata dei prodotti a base di agrumi deriva dalla tradizione alimentare anglosassone, dove con il termine marmalade si era soliti indicare esclusivamente la marmellata derivante da arance amare.

Di conseguenza, una confettura sarà definita come il prodotto realizzato a partire da zucchero e polpa (o purea) di tutti gli altri tipi di frutta presenti in natura. In questo caso, la percentuale di frutta non può essere inferiore al 35% del totale (con differenze anche notevoli a seconda del frutto che viene usato), ma sale al 45% nel caso dei prodotti marchiati con la dicitura “confettura extra“.

Rimane una terza definizione, che però non è presente nella direttiva europea, ma è stata sancita dalla consuetudine. Si sta parlando della composta, come quella di pesche, albicocche o prugne! Si tratta di un prodotto alimentare in cui la percentuale di frutta non deve essere inferiore ai due terzi del totale. Nella composta, infatti, lo zucchero aggiunto occupa meno spazio ed è sensibilmente in minore quantità, così come il conseguente apporto calorico.

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